Quest’anno mi voglio fare
un albero di Natale
di tipo speciale,
ma bello veramente.
Non lo farò in tinello, lo farò nella mente,
dove non c’è soffitto
e l’albero può crescere
alto alto, dritto dritto,
quanto gli pare,
con centomila rami
e un miliardo di lampadine
e tutti i doni che non stanno
nelle vetrine:
un raggio di sole
per il passero che trema –
un ciuffo di viole
per il prato gelato –
la soluzione giusta del problema
più complicato
per lo scolaro debole in aritmetica –
un aumento di pensione
per il vecchio pensionato –
lo stipendio raddoppiato al professore di storia
e l’olio a buon mercato.
E poi giochi, giocattoli, balocchi
quanti ne puoi contare
a spalancare gli occhi:
un milione, cento milioni
di bellissimi doni
uno più gratis dell’altro,
e al posto dei cartellini
zeppi di numeracci
i nomi dei bambini
che non ebbero mai
un regalo di Natale,
e per loro ogni giorno all’altro è uguale,
e non è mai festa.
Perché se un bimbo resta senza niente,
anche un solo, piccolo
che piangere non si sente
e sta chissadove,
Natale è tutto sbagliato,
da rifare per bene,
come una divisione se non viene
la prova del nove.