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Introduzione
(Tesi di laurea di Angiola Giulia 11 dicembre 2018)
La presente ricerca si propone di indagare in che modo la scrittura narrativa possa costituire una pratica di supporto alla progettazione didattica dell’insegnante e un mediatore didattico finalizzato a favorire apprendimenti disciplinari. Intento del progetto è, altresì, di dimostrare che due ambiti tradizionalmente separati, come quello scientifico e quello umanistico, possano, in realtà, supportarsi sinergicamente, ampliando l’uno le prospettive dell’altro. L’utilizzo della narrazione è stato fin dal principio il punto focale del percorso, poiché rispondeva sia ad una mia passione, sia ad un interesse dei bambini riscontrato durante le mie precedenti esperienze nel mondo della scuola. Durante lo svolgimento delle diverse attività e attraverso lo studio di alcuni autori, mi sono, tuttavia, resa progressivamente conto di altre numerose potenzialità che l’esperienza narrativa può assumere in ambito didattico e, per questa ragione, ho deciso di indagarle.
In particolare, il lavoro si concentra nell’analizzare il processo di ideazione e scrittura di racconti sia nella fase di progettazione di attività didattiche da svolgere in una classe quarta, sia in una successiva fase di riflessione sulle attività svolte. Per poter esaminare questo fenomeno prenderò in considerazione come cornice di riferimento la teoria enattivista, che focalizza l’attenzione sulla conoscenza di tipo esperienziale e sul legame tra percezione e cognizione, superando il classico dualismo cartesiano che vede contrapposti il corpo e la mente.
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Decalogo Arciragazzi per la città amica
delle bambine e dei bambini (e dei ragazzi e delle ragazze)
- Vietato vietare il gioco: eliminare tutti i cartelli del divieto al gioco; promuovere il cambiamento dei regolamenti condominiali; regolamentare il gioco se serve, mai proibirlo! I bambini devono essere messi in grado di giocare di più, senza adulti, all’aperto…
- Libera il gioco, libera la piazza, liberi tutti: ogni anno, in ciascuna Circoscrizione, “liberare” una piazza, via, giardino per renderlo più adatto al gioco, libero e gratuito.
- Cambiare i Regolamenti sul gioco: nella città il gioco è fortemente limitato dal regolamento di polizia municipale; molti Comuni, tra cui quello di Roma, lo hanno già cambiato. Questo vale anche per i regolamenti condominali, che “normalmente” proibiscono il gioco; si potrebbero “premiare” quelli che cambiano questi regolamenti (con verde, panchine, sconti ecc.) …
- Istituire la Giornata Comunale del Diritto al Gioco, in cui tutta la città, dalle scuole alle piazze, “si mette in gioco”. Nel mese di maggio (anche per celebrare la Convenzione ONU sui Diritti dei Bambini) sono sempre più numerose le città che organizzano la giornata del gioco
- Istituire a scuola – ufficialmente – il 20 novembre: giorno dei diritti dei bambini: a scuola si celebra di tutto, anche ricorrenze solo commerciali. Il 20 novembre è la giornata mondiale dei diritti dei bambini e dei ragazzi. Perché non “metterla a calendario” anche a fini didattici e nel programma? Un modo per promuovere, con il gioco, anche tutti gli altri Diritti.
- Bambini a piedi: promuovere i percorsi e le strade amiche dei bambini, in modo che possano andare a scuola, in biblioteca, ai giardinetti da soli, sin dall’età delle elementari; per le scuole, ad esempio, promuovere i “pedibus”1, come sperimentato in alcuni comuni italiani, grandi e piccoli;
- Più Spazi, più spazio: migliorare gli spazi gioco (anche senza giochi costosi, basta tenerli puliti e illuminati!) e il verde pubblico, limitare e/o calmierare il traffico.
- Più tempo, meno compiti, meno impegni! i bambini hanno troppi compiti da scuola e troppi impegni “in agenda”. Più tempo libero, meno “organizzazione”, più tempo per loro!
- Bilancio Comunale per i bambini: ogni anno, il 20 novembre (giornata dei diritti dei bambini) il Sindaco comunica ai bambini e ai ragazzi, anche tramite adeguati strumenti “leggibili” da loro, quanto la città fa per l’Infanzia e l’Adolescenza (fondi, attività, occasioni)
- Ascoltare i bambini e i ragazzi: in tutte le cose che li riguardano (gioco, scuola, vita nei quartieri, sicurezza, ecc.) chiedere sempre l’opinione dei bambini e dei ragazzi. La loro competenza sarà sorprendente!
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“ L’infanzia termina nel momento in cui si scopre che la vita è un eterno gioco”.
Il gioco permetterebbe il perfezionarsi di una funzione istintiva, sarebbe “un esercizio preparatorio alla vita vera”. L’animale non gioca perché è giovane, ma è giovane in quanto ha bisogno di giocare. Il gioco è dunque funzione essenziale nella vita dei bambini: essi vi si dedicano spontaneamente e senza aiuto, ma si può soddisfare il loro bisogno di attività mettendogli a disposizione gli oggetti indispensabili. Le manchevolezze e gli errori che l’educatore non sa scoprire nel campo del gioco possono modificare il comportamento del futuro adulto.
Sorgente di gioia, fattore di creatività e di vittoria, origine e preparazione delle attività di lavoro, il gioco è anche una prima introduzione alle forme di convivenza sociale del bambino. Fin dai primi anni, “il gioco non è la negazione pura e semplice, la derisione del serio, del lavoro e della legge, ma piuttosto il simbolo e il pegno della riconciliazione, nel destino individuale e sociale, tra norma ed eccezione, tra necessità e libertà. Il gioco è il sale della civiltà”.
Il decalogo di Saltabanco
- Il bambino acquisterebbe attraverso il gioco “il capitale di base di cui ha bisogno nella vita”.
- E’ il “tutore della crescita, il grande ponte che i bambini devono attraversare per passare senza difficoltà dall’infanzia all’età adulta”.
- Il bambino, come l’adulto, può fare a meno del supporto materiale quando si abbandona a un’attività ludica.
- Ogni oggetto è un oggetto ludico, ogni oggetto ludico è un giocattolo, ogni oggetto è un giocattolo (Casanova Giancarlo). “E’ l’uso che conferisce all’oggetto il suo definitivo carattere di giocattolo”.
- Il giocattolo non è semplicemente un oggetto per “occupare” o “divertire” il bambino, ma un mezzo per educarlo e renderlo felice.
- Il gioco è, nella vita del bambino, un fatto nello stesso tempo familiare e complesso, comprende tante situazioni e fa ricorso a tanti oggetti. Tra il gioco e il giocattolo, quale dei due ha preceduto l’altro? Il bambino gioca perché ha dei giocattoli, oppure ha dei giocattoli perché gli piace giocare?
- Nelle mani di un bambino tutto può diventare giocattolo: un pezzo di spago, un pezzo di carta, un fiore o una foglia, lo stesso corpo umano. Il giocattolo fabbricato, il giocattolo di serie non è dunque elemento indispensabile del gioco. Anzi, può trovarsi accanto al bambino, coabitare con lui e non essere toccato.
- Bisogna saper regalare un giocattolo. Non lo si impone come un oggetto indispensabile o un alimento; esso deve conservare un qualche mistero.
- I regali sorpresa sono messaggi che stabiliscono una comunicazione tra colui che dona e colui che riceve.
- L’attesa crea una tensione che stimola lo slancio, arricchisce l’immaginazione, avvio l’esercizio delle funzioni della conoscenza conferendo così consistenza alla personalità. Purtroppo è tanto più facile, oggi, regalare denaro!
- Far partecipare i bambini alla scelta dei giocattoli vuol dire allenarli a un’operazione di ordine intellettuale, aiutarli a prendere una decisione, concedere loro una certa indipendenza nei confronti dell’adulto.
- Immaginiamo di osservare un genitore che, alla vigilia di una ricorrenza qualsiasi, acquista, in un negozio specializzato, un giocattolo per il figlio. È assai utile distinguere almeno tre aspetti principali del suo comportamento: le motivazioni, più o meno sincere, gli obiettivi dichiarati, l’intenzionalità reale.
- Ai bambini e agli adolescenti si rimproverano oggi un eccessivo egocentrismo e un aumento di aggressività. In seguito al mutamento delle condizioni di socializzazione, dovuto al ridimensionamento della famiglia e alla frammentazione delle relazioni umane, anche le loro possibilità di fare esperienze sociali si sono ridotte.
- Quando i bambini giocano per strada, nei parchi, nelle piazze e in tutti quei luoghi d’incontro rispettoso, essi non si riservano soltanto un teatro ludico tra i più antichi del mondo, ma si impegnano in passatempi tra i più arcaici ed interessanti, dato che le regole di tali giochi e i giochi stessi sono stati provati e riprovati da generazioni di bambini che si sono divertiti con essi e li hanno tramandati e continuano a farlo senza riferimento alla tradizione scritta, ai governi o alle regole del mondo adulto.
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Gli alunni
(Galeano)
Giorno dopo giorno, si nega ai bambini il diritto di essere tali. I fatti, che si burlano di questo diritto, impartiscono i loro insegnamenti nella vita quotidiana. Il mondo tratta i bambini ricchi come se fossero denaro, affinché si abituino ad agire come agisce il denaro. Il mondo tratta i bambini poveri come se fossero rifiuti, affinché diventino dei rifiuti. E quelli che stanno in mezzo, i bambini che non sono né ricchi né poveri, li tiene legati alla gamba del televisore, perché fin da molto piccoli accettino, come destino, una vita prigioniera. I bambini che riescono a essere bambini hanno molta magia e molta fortuna.
Quelli di sopra, quelli di sotto e quelli che stanno in mezzo
Nell’oceano dell’abbandono si ergono le isole del privilegio. Sono campi di concentramento di lusso, dove i potenti si ritrovano con i potenti e non dimenticano mai, nemmeno per un attimo, di essere potenti. In alcune delle grandi città latinoamericane, i sequestri sono diventati un’abitudine e i bambini ricchi crescono rinchiusi sotto la campana di vetro della paura. Abitano in ville recintate, grandi dimore o gruppi di case circondate dall’assedio dell’elettricità e di guardie armate, e notte e giorno sono vigilati dalle guardie del corpo e dalle telecamere a circuito chiuso della sicurezza. I bambini ricchi viaggiano, come il denaro, in auto blindate. Non conoscono, se non di vista, la loro città, Scoprono la metropolitana a Parigi o a New York, ma non la prendono ma a San Paolo o nella capitale del Messico. Loro non vivono nelle città in cui vivono. A loro è vietato quel vasto inferno che minaccia il loro minuscolo cielo privato. Oltre le frontiere si estende una regione del terrore dove la gente è tanta, brutta, sporca e invidiosa. In piena era della globalizzazione,i bambini non appartengono più a nessun posto, ma quelli che hanno meno posto sono proprio coloro che hanno di più: crescono senza radici, privi di identità culturale e con la certezza che la realtà sia un pericolo come unica percezione del sociale. La loro patria è nelle marche del prestigio universale, che distinguono i loro abiti e tutto quello che usano, e il loro linguaggio è quello dei codici elettronici internazionali. Nelle città più diverse e nei luoghi più distanti del mondo i figli del privilegio si assomigliano fra loro, nelle abitudini e nelle tendenze, come fra loro si assomigliano gli shopping center e gli aeroporti situati al di fuori del tempo e dello spazio. Educati nella realtà virtuale, si diseducano nell'ignoranza della realtà vera, che esiste solo per essere temuta o comprata. Fast food, fast cars, fast life: da quando nascono, i bambini sono allenati al consumo e all’effimero trascorrono l’infanzia constatando che le macchine sono più degne di fiducia delle persone. Quando arriva l’ora del rituale di iniziazione, gli sarà offerto il loro primo fuoristrada con quattro ruote motrici. Durante gli anni dell’attesa, si lanciano a tutta birra sulle autostrade cibernetiche e confermano la propria identità divorando immagini e merci, facendo zapping e facendo shopping. I ciberbambini navigano nel ciberspazio con la stessa disinvoltura con cui i bambini abbandonati vagano per le strade delle città. Molto prima che i bambini ricchi smettano di essere bambini e scoprano le droghe costose che stordiscono la solitudine e macerano la paura, i bambini poveri stanno già inalando benzina. Mentre i bambini ricchi giocano alla guerra con proiettili i proiettili di piombo minacciano già i bambini di strada.
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L’educazione socio-affettiva del bambino e dell’adolescente nelle realtà dell’extra-scuola: l’esperienza dell’Arciragazzi.
Negli ultimi decenni la scuola ha vissuto molti cambiamenti: innovazioni tecnologiche, nuovi programmi, nuove metodologie… Eppure, come sosteneva Thomas Gordon circa dieci anni fa, si tratta di un cambiamento relativo, che ci porta ad un paradosso: la scuola sarebbe cambiata con il paradossale risultato che la scuola non è cambiata. Riprendendo la teoria dei sistemi, si tratterebbe infatti di mutamenti di primo ordine che non sono sufficienti a modificare il sistema: si dice che il sistema abbia una tendenza morfostatica. La scuola quindi non cambia in realtà, ma si adatta (Gordon, 1996). E viene facile il richiamo ad una frase celebre di un classico della letteratura italiana: “Tutto cambia per non cambiare niente” diceva il Principe Tancredi nel romanzo “Il Gattopardo”, di fronte al grande cambiamento “annunciato” dalle truppe di Garibaldi in Sicilia, durante il periodo di unificazione del nostro Paese.
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Il gioco.
C’è vita senza gioco?
Bambini che gattonano, corrono, manipolano oggetti, inventano e costruiscono rincorrendo la loro fantasia… adulti che sembrano bambini, che si dimenticano per un momento della loro realtà ed entrano in una fase atavica, quasi mistica…che magia il gioco!
Ho deciso di trattare il tema del gioco in tutti i suoi aspetti più rilevanti lungo tutto l’arco della vita degli esseri umani, proprio perché lo ritengo il veicolo trainante dell’età dello sviluppo ma anche una componente fondamentale della vita in ogni sua fase temporale.
Affronterò le sue funzioni pedagogiche, socioculturali, di sviluppo psicofisico e i suoi risvolti psichici, parlerò della mia esperienza di animatore ludico per bambini e delle tematiche incontrate rispetto a quello che ho imparato da pedagogisti e psicologi durante il mio percorso scolastico portando esperienze dirette anche del rapporto con i genitori dei bambini, ma soprattutto del gioco come forma di libertà, espressività e diritto all’infanzia di cui i bambini, purtroppo, non in tutte le parti del mondo possono beneficiare.
La nostra vita è di tipo socio-culturale, l’apprendimento avviene a partire dagli altri sia in modo diretto, interagendo con loro o indiretto attraverso opere prodotte da altri esseri umani come libri, quadri, musica e cosi via.
Il gioco è la prima forma di socialità che un bambino attua e da cui apprende quello che lo circonda, impara comportamenti e regole, comunica e si esprime, è per lui la forma più naturale e spontanea di tutto ciò e lo affronta molto seriamente.
Il desiderio di giocare, anzi il bisogno di giocare, non abbandona l’uomo alla fine dell’età dello sviluppo, ma rimane sempre ben radicato in tutti, anche se molti cercano di nasconderlo.
La ricerca del piacere, e il gioco dà piacere, anzi senza piacere il gioco non è più gioco, mai ci lascia e aiuta oltretutto a scaricare tensioni, stress, stanchezza, fondendo Io, Es e Super-io, aumentando le potenzialità di ognuno e permettendo di recuperare energie che si pensava sparite.
Non c’è vita senza gioco, esso è antecedente anche alla cultura umana, esiste dalle fasi primordiali del mondo, ne sono testimonianza gli animali che hanno innato il senso del gioco. Ecco il punto focale, il gioco ha un senso o forse mille sensi al suo stesso interno, cercherò pertanto di analizzare tutto quanto è nelle mie possibilità per farli emergere in toto.