C’era una volta (ma
dove nessuno sa)
il paese dei bugiardi:
un paese dove nessuno
diceva la verità.
Quando spuntava il sole
c’era qualcuno pronto
a dire: - Che bel tramonto! –
Di sera, naturalmente,
quando brillava la luna,
si lamentava la gente:
- Ohibò, che notte bruna,
non ci si vede niente –
Se tu ridevi: - Peccato,
che gli sarà capitato
di male? –
E se piangevi, invece:
- Che tipo originale,
sempre allegro, sempre in festa,
chissà che ci ha in testa? –
Chiamavano acqua il vino,
seggiola il tavolino
e tutte le parole
le rovesciavano per benino;
fare diverso non era permesso,
ma essendoci abituati
si capivano lo stesso.
Un giorno in questo paese
capitò un certo ometto,
il quale poveretto
il codice dei bugiardi
non l’aveva mai letto
e senza riguardi
se ne andava intorno
chiamando giorno il giorno
e sera la sera
e non diceva una parola
che non fosse vera.
Dall’oggi al domani
lo fecero pigliare
dall’acchiappacani
e mettere all’ospedale.
- E’ matto da legare,
dice sempre la verità. –
- Ma no, ma via, ma va…-
Parola d’onore,
chiedetelo al dottore. –
E’ un caso interessante,
- Verranno da distante
cinquecento professori
per studiargli il cervello. –
La strana malattia
fu descritta in cento puntate
sulla Gazzetta della bugia.
Infine per contentare
la curiosità
popolare
l’Uomo-che-diceva-la-verità
fu esposto a pagamento
nel giardino zoologico
in una gabbia di cemento armato.
Ma qui la faccenda
si complicò in maniera tremenda,
perché il malato tutti contagiò.
La malattia, vedete, era infettiva,
a un po’ alla volta in tutta la città
si diffuse il bacillo della verità.
Medici, poliziotti, autorità,
tentarono il possibile
per frenare il flagello:
ma non ci fu niente da fare.
La gente – questo è il bello –
Non si lasciava curare
Col “siero della bugia”
(uno sciroppo nero, disgustoso),
liberò il prigioniero,
lo elesse presidente
e chi non mi crede
non ha capito niente.